DANTEDI’ al Liceo “Archita”
L’Inferno
Oggi, 25 Marzo 2021, in occasione della celebrazione del “Dantedì” gli alunni delle classi terze, quarte e quinte del liceo “Archita”, grazie ai Professori Pierfranco Bruni, Antonio Serra e Guglielmo Matichecchia, hanno potuto apprezzare la contemporaneità del “Padre” della nostra lingua e della nostra cultura, Dante Alighieri. Hanno Partecipato all’evento la Prof.ssa Bosco, la Prof.ssa Carducci e la Prof.ssa Dell’Aglio.
Il primo argomento affrontato è stata la Cantica dell’Inferno. Siamo partiti ascoltando il Prof. Bruni che ha proposto un interessante paragone tra il viaggio di Dante e quello di Ulisse e da ciò è scaturito un parallelismo col cantante Battiato, che parla della metafora del viaggio, viaggio di nostalgia e di ritorno. La modernità di questa maestosa opera si è conclusa con l’ascolto del Canto XXVI dell’Inferno sotto forma di canzone “rappata”. L’importanza di questa forma artistica permette di affrontare temi che sono sempre attuali ed è per questo che l’opera rappresenta il viaggio dell’essere umano di ogni tempo. Paolo Sesto diceva che Dante fa parte della nostra storia perché ricerca la verità, ci fa comprendere la differenza tra bene e male, perchè ci accompagna nel percorso a volte “infernale” e difficile della nostra esistenza, indicandoci la strada.
La nostra “selva oscura” oggi è il periodo pandemico che inaspettatamente stiamo vivendo.
Gaia Buongiorno, 3ASp
Il Purgatorio
Il 25 Marzo, in occasione del Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri gli alunni del Liceo Archita di Taranto hanno ascoltato gli interventi del Prof. Bruni, del Prof. Serra e del Prof. Matichecchia sulla Divina Commedia. Hanno Partecipato all’evento la Prof.ssa Bosco, la Prof.ssa Carducci e la Prof.ssa Dell’Aglio.
In particolare, gli alunni del quarto anno, in ossequio al proprio programma che prevede lo studio del Purgatorio, hanno ascoltato le parole le parole del Prof. Serra, che ha concentrato il suo intervento sul significato pratico del Purgatorio e sul concetto di libertà espresso nel primo canto.
“…mi sono fatto rubare forse gli anni migliori dalle mie paranoie e da mille altri errori…vorrei che fosse oggi in un attimo già domani per re iniziare, per stravolgere tutti i miei piani perché sarà migliore ed io sarò migliore”
Sono dei versi del cantautore Nesli del 2009, interpretati anche da Tiziano Ferro nel 2011. Il Prof. Serra, utilizzando questi versi, ha chiarito come il bisogno di cambiare la direzione, di cambiare l’orientamento della propria vita rappresenta un momento con il quale, prima o poi, ciascun uomo deve confrontarsi.
Cambiare la propria vita non è semplice perché le fragilità e le difficoltà portano l’uomo a ripetere gli stessi errori e gli stessi sbagli.
Ebbene, il Purgatorio di Dante rappresenta il luogo del cambiamento. Dante muta il percorso adottato nell’inferno dove la pena è definitiva. Il purgatorio è abitato dalle anime delle persone che hanno compreso di sbagliare ed hanno cambiato direzione. Hanno realizzato che la loro vita aveva intrapreso un cattivo percorso ed hanno cambiato vita per giungere alla conquista del Paradiso.
Il cambiamento è, inevitabilmente, collegato al concetto di libertà.
Dante nel primo canto del Purgatorio sta cercando la libertà, quella stessa libertà per la quale Catone, il guardiano del Purgatorio, si è ucciso.
La libertà è autodeterminazione e tenacia; cercare la libertà significa avere tenacia, quella tenacia necessaria a confermare il cambio di direzione ed a convertire la propria esistenza.
Quindi l’uomo servendosi della propria libertà arriva al purgatorio che il luogo della conversione, del mutamento di senso e, come ha chiarito il Prof. Serra, “il luogo dell’ineludibile passaggio della persona umana nella propria storia individuale”.
Dante, sicuramente, riprende il concetto di libertà espresso dai filosofi Greci ed in particolare da Aristotele che diceva che l’uomo è principio dei suoi atti, è principio di se stesso; partendo da questi concetti giunge nel primo canto del Purgatorio, attraverso le parole di Virgilio, ad affermare che la vita senza la libertà non ha senso. Quindi, la libertà ha più valore della vita perché è lo strumento attraverso il quale la vita si libera da ogni condizionamento.
Catone si è suicidato per amore della libertà ed il poeta ha individuato un pagano suicida quale custode del Purgatorio proprio perché Catone ha non ha dato valore ad una vita senza libertà.
La libertà porta ad eliminare tutte le esperienze dell’esistenza che sono prive di senso. E’ un concetto pratico ed attuale che Dante ha espresso al tempo della Divina Commedia.
Per il poeta il Purgatorio è il mezzo che porta alla beatitudine eterna che non può essere messa in discussione dal tempo e dalla storia.
Il cambiamento richiede pazienza ed impegno e solo chi è capace di intraprendere il percorso del cambiamento servendosi della libertà arriverà alla condizione di gioia eterna: è questo il messaggio di Dante nel Purgatorio.
Quando si arriva nel Purgatorio, si entra nel luogo della giusta direzione, si vede la vita con una nuova prospettiva che gli altri non vedono. Certamente nell’ottica di Dante, il cambiamento può avvenire solo con l’aiuto di Dio.
Il Purgatorio è un luogo di passaggio, una sala d’attesa in cui i purganti seguono, con infinita pazienza, un lungo e faticoso programma di rieducazione, una consolante purificazione che li porta alla beatitudine definitiva.
Il Purgatorio è un’invenzione di Dante. La teologia e la tradizione letteraria non hanno offerto al poeta spunti decisivi per la concezione del secondo dei tre regni ultraterreni. Nel 1254, Papa Innocenzo IV formalizzava l’esistenza di un luogo di pena, intermedio tra la dannazione infernale e la beatitudine eterna, ma non proclamava un dogma. Dante pareggia il rilievo teologico e morale del Purgatorio a quello dell’Inferno e del Paradiso; inventa la montagna purgatoriale che resta appartenente alla terra, alla vicenda umana di luce e di ombra, di alba e di tramonto; inventa, soprattutto, lo stato psicologico e spirituale dei purganti, anime sospese ancora legate alla dimensione umana del tempo, del trascorrere del tempo umano.
Il percorso descritto dal poeta nel purgatorio è un percorso di evoluzione spirituale e pratica che ogni uomo realizza ogni giorno.
Il Purgatorio è senza dubbio la cantica più terrena perché rispecchia la condizione dell’uomo durante il viaggio della vita. È la condizione del pellegrino che vive la dimensione terrena cercando il cambiamento.
Il Purgatorio di Dante è forse un po’ meno conosciuto dell’inferno ma non se ne discosta di molto per la forza narrativa e per la precisione descrittiva.
Forse mai come in questo momento i giovani riescono a comprendere il messaggio di libertà che Dante ha inserito nel purgatorio ed in particolare nel primo canto.
Probabilmente, in questi mesi si sta scrivendo una pagina importante della storia dedicata alla privazione della libertà a causa della pandemia. L’impossibilità di vivere normalmente e di compiere anche i piccoli gesti della vita quotidiana ha fatto riscoprire il senso della vita e della libertà.
Forse gli uomini troppo presi dalle logiche del progresso e del benessere avevano dimenticato l’importanza della libertà e ne hanno riscoperto il senso solo quando ne sono stati privati seppure per cause di forza maggiore.
Ed ecco che Dante diventa attuale, la sua ricerca della libertà diventa la nostra ricerca della libertà, il suo percorso di cambiamento diventa il nostro percorso di cambiamento e la sua umanità diventa la nostra umanità.
Forse è questa la ragione del Dantedì !
Fausto Lattanzi, 4ASp
Il Paradiso
L’illustrazione della cantica del Paradiso è stata affidata al Professor Guglielmo Matichecchia, che si è cimentato in una lectio magistralis sull’XI canto.
“La bellezza della poesia è infinita, si rinnova, ed è amore: Dante ci insegna che la poesia è sempre nuova bellezza.”
Con questa massima il Prof. Matichecchia ha introdotto la cantica e, in particolare, il canto XI, da intendersi non come agiografico ma laudativo, un panegirico del santo in cui Dante, attraverso il sapiente eloquio di San Tommaso, tesse i meriti delle più significative qualità umane di San Francesco, rispondendo alla necessità di raffigurare poeticamente l’operato del “poverello” di Assisi più che all’esigenza di conoscenza storica. Secondo l’interpretazione del maggiore esponente dell’esistenzialismo ontologico e fenomenologico, Martin Heidegger, Dante non incontrerà mai San Francesco, in nessuna occasione, eppure la presenza del Santo graviterà nel suo spazio esistenziale come modello di un’autentica testimonianza di fede.
Il Sommo Poeta, sottolinea il Professore, identifica in San Francesco il suo ideale totalitario di povertà, rendendolo protagonista di tutto il canto: la condizione di miseria è generata dai ragionamenti fallaci che impediscono agli esseri umani una convivenza civile e che contagiano negativamente i principi alla base di una pacifica coesistenza. Le invettive di Dante, tuttavia, non si propongono di sopprimere la Chiesa, bensì di promuovere la genesi di un prototipo che sia distante da un mondo caratterizzato dall’ingannevole ricerca e soddisfazione dei bisogni materiali.
L’esempio descritto è reso possibile grazie al carisma di San Francesco, portatore dell’ideale di una ecclesìa che non esercita alcun potere temporale.
La cosiddetta “Madonna povertà”, soggiunge Matichecchia, privata del primo marito (Cristo), è abbandonata e respinta da tutti: San Francesco, nell’impianto laudativo del cantico alla vita, avrebbe potuto definirla “sorella“, ma decide di presentarla come “sposa“, poiché il vincolo del matrimonio è sacro ed eterno e rende l’unione un “totius vitae”.
Proseguendo nella spiegazione del canto, il Professore ha illustrato i versi 67-69 in cui Dante racconta, quale esemplare di ammirazione, l’episodio presente nella Pharsalia di Lucano e dedicato al pescatore Amiclate che, umile e sicuro nella e della sua povertà, non si scompone alla presenza inattesa di Cesare nella sua umile dimore. Il grande condottiero, simbolo del potere imperiale e temporale, non si accorse dell’alto e superiore magistro della Povertà, dignitosa compagna e luce della vita del pescatore, solida antifrasi morale al potere politico ed economico e alla vanità degli obiettivi umani già presentati nell’incipit del canto.
San Francesco ottenne il riconoscimento dalla Chiesa per evidenza storica: egli predicava una Chiesa povera, priva di violenza e di lotta. Ma il sigillo più importante gli fu concesso da Cristo, che impresse le stigmate sul suo corpo come riconoscimento della autenticità della sua essenza.
In Francesco viene presentato l’esempio di un Vangelo che rifiuti radicalmente ogni forma di violenza e predichi l’amore e il puro incontro. Il suo testamento dovrà ricordare agli uomini che la Povertà va considerata come un dato naturale e divino da accettare poiché consustanzia la natura di Dio ed evita la dannazione eterna dell’anima.
L’ultima riflessione è dedicata al testamento di Francesco, a partire già dalla sua morte: nel modus del nudo ricongiungimento alla terra è l’ultimo segno dell’amore indissolubile per la povertà e della integrale appartenenza ad una Chiesa i cui confini ed agire devono coincidere con quelli della Povertà stessa.
Claudia Genga, 5BC
IL PECCATO DELLA GOLA
La gola è un peccato difficile da definire. Nel medioevo era considerato un peccato molto grave. Dante, infatti nel suo capolavoro, colloca i peccatori di gola nel terzo cerchio dell’Inferno. La loro pena infernale è quella di essere costretti a rotolarsi in un fango putrido e maleodorante colpiti da una pioggia gelida, mentre il custode di questo cerchio, Cerbero, un gigantesco e spaventoso cane a tre teste, li tormenta in eterno. I peccatori di gola sono descritti come avari egoisti, interessati solo a possedere ciò che meglio appaghi i piaceri del cibo, tralasciando i principi della giustizia e del rispetto per gli altri. Se il cibo diventa ossessione, il piacere diventa ingordigia, e persino cupidigia, avarizia, ed egoismo. Il cristianesimo ha una concezione positiva del piacere. Il piacere è opera di Dio, come osserva fra gli altri Clive S. Lewis nelle meravigliose Lettere di Berlicche, lettere che un vecchio diavolo indirizza al giovane nipote alla sua prima missione da tentatore sulla terra. È Dio che ha fatto le cose in modo che noi ne potessimo godere; e infatti quando Dante parlerà al culmine del Paradiso della visione di Dio, userà proprio l’espressione ‘sommo piacer’. Il cristianesimo, è la religione che più insegna la bontà di ogni cibo, non vietandone nessuno, poiché tutto è opera di Dio e, quindi, buono. Gesù dice il Vangelo di Marco (Mc 7,19-20) «rendeva puri tutti gli alimenti. E diceva: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo”». Anche nella tradizione monastica riscontriamo un’attenzione al cibo. Fin dai tempi più remoti, i monaci sono all’origine della creazione di tanti prodotti locali vino, birra, dolci, pasta, formaggi e insaccati. Se analizziamo la vita pubblica di Gesù, possiamo affermare che essa cominci e finisca a tavola. Il Suo primo miracolo infatti avvenne alle nozze di Cana, quando trasformò l’acqua in vino. È l’ultimo gesto, fu l’istituzione dell’Eucarestia. Non il cibo, cioè l’oggetto, ma il nostro rapporto con il cibo potrebbe rivelarsi un peccato. La gola è un vizio, quando diventa qualcosa che orienta la vita, cioè un attaccamento smodato al cibo che fa perdere di vista valori più importanti e che, di fatto, è una forma di idolatria. Un idolo non è altro che una persona o una cosa a cui assegniamo, nella nostra vita, il posto che dovrebbe spettare a Dio. In questo caso la Chiesa annovera la gola fra i vizi capitali. L’attrattiva che Dio mette nelle cose diventa peccato nel momento in cui la cosa buona viene idolatrata, e invece che essere segno che rimanda ad altro diventa l’assoluto. Gesù, a Cana, ha trasformato l’acqua in vino, cioè ha risposto al bisogno immediato, concreto che gli uomini avevano; alla fine, nel Cenacolo, ha trasformato il vino nel Suo sangue, per mostrare che il bisogno autentico degli uomini è il bisogno di Lui. I golosi, sono quelli di cui parla san Paolo, che ‘‘hanno come dio il loro ventre’’, come si vede in Cerbero, che ha una fama mai appagata, e infatti si getta con foga a divorare il fango che Virgilio gli lancia. Nella parte conclusiva del VI canto, Dante afferma che al momento della resurrezione della carne i dannati soffriranno ancora di più, perché saranno in un certo senso più “perfetti”. Per il cristianesimo anima e corpo infatti non sono contrapposti, una buona e l’altro cattivo. Anche il corpo è buono, anche il corpo è sacro. Tutto ha un destino eterno, tutto è per il bene, anche il corpo, anche il cibo che lo nutre; ma solo se tutto è ordinato al Bene e non adorato come un bene in sé stesso. Un tempo il digiuno era considerato il pilastro della religiosità cristiana, proprio come oggi lo è del mondo islamico. In età medievale troviamo delle sante ascetiche, come Caterina da Siena, che si mortificavano in continui digiuni. Esse erano indotte da condizioni sociali, che le spingevano a liberarsi di un mondo opprimente, con un totale rifiuto della società, della vita e del proprio corpo. Rita da Cascia infatti cercò inizialmente di superare il risentimento verso l’iracondo marito mediante il digiuno e col tempo non mangiò quasi più. Il digiuno assumeva per queste sante, dette ‘anoressiche’, il carattere di imitazione dell’itinerario di Cristo, che all’inizio della sua predicazione avrebbe digiunato quaranta giorni nel deserto, ma esprime anche la loro ribellione alle strutture sociali patriarcali alle quali sono costrette a sottostare. Un sentimento di ribellione è spesso la causa dello scorretto rapporto che oggi molti giovani hanno con il cibo. Spesso esso è esasperato a causa delle scorrette abitudini, ma anche dei modelli ed immagini che vengono proposti a tutti, dai giovani ai meno giovani, in TV, sui social e su internet. Questi canoni di bellezza sono difficili da raggiungere e creano falsi miti nei ragazzi e nelle ragazze che non si sentono adeguati se non corrispondono a quell’immagine. Tutto ciò porta i giovani a sentirsi insicuri e a far emergere in situazioni di particolare vulnerabilità delle vere proprie patologie, come l’anoressia o la bulimia. Entrambe vanno ad investire la sfera psicologica: le giovani bombardate dalla continua proposizione di corpi perfetti, ritoccati in foto, pubblicizzati come “il giusto”, sono indotte a cercare di assomigliare ad essi in tutti i modi, cadendo in un rifiuto del cibo che comporta il raggiungimento di livelli di sottopeso tali da comportare il rischio di morte. È una patologia dalla quale è difficile addirittura rimettersi, poiché il corpo dopo un po’ non è più abituato a lavorare ed immagazzinare il cibo ingerito. Tutto ciò porta i giovani a sentirsi insicuri e a far emergere in situazioni di particolare vulnerabilità delle vere proprie patologie, come l’anoressia o la bulimia. È importante stabilire il giusto rapporto col cibo che rimane parte integrante della nostra vita. Il pranzo di Babette di Karen Blixen, da cui è stato tratto anche uno splendido film, mostra tutto il gusto cattolico per la buona tavola. Infatti a tavola si riunisce la famiglia, si invitano gli amici a cena, ci si ritrova per momenti conviviali. A tavola non si condivide soltanto il cibo, ma sguardi, parole, sorrisi, cioè il senso della vita, sostenuto dal cibo stesso: mangiare insieme è una dimensione che apre alla comunione. Mangiando insieme ci si fa compagni, parola che deriva proprio da cum panis, cioè persone che dividono lo stesso pane. Oggi si è perso questo aspetto conviviale e spesso i pranzi sono veloci. Nelle città americane non esiste la cultura del cibo e non si percepisce l’importanza di una corretta alimentazione. Le persone abituate a cucinare sono davvero in bassa percentuale, per la maggioranza viene considerata una perdita di tempo ed ecco perché si utilizzano i cibi precotti o si mangia nei fast food. La scorretta alimentazione è causa di obesità e gravi malattie ad essa connesse. Bisogna attribuire al cibo il giusto valore. Esso non serve solo a soddisfare una necessità biologica, ma riveste anche un’importanza più ampia, che riguarda la vita di relazione. Condividere il cibo è un rito di socializzazione, di aggregazione. Stare a tavola è un modo di “riunire” la famiglia, insomma un punto di riferimento importante nella nostra giornata.
Sara Billi, 3AES
Il cibo e Dante
dal 1330 all’Agenda 2030
Come non pensare a Dante e al significato della numerologia quando il tre si ripete ancora a distanza di più di settecento anni: allora nella Divina Commedia, oggi negli obiettivi dell’Agenda 2030. Dante lo sceglie per costruire la sua opera, dal punto di vista strutturale (tre cantiche in terzine, tre regni, tre guide ecc…); ma anche dal punto di vista filosofico, religioso e storico. Dante nel VI canto dell’Inferno, dopo essere svenuto alla fine del racconto di Francesca, si sveglia nel terzo cerchio. È il cerchio dei golosi che, stesi a terra, sono puniti da una pioggia eterna. Sono controllati e tormentati da Cerbero, un cane a tre teste. Una delle anime si rivolge a Dante ma non viene inizialmente riconosciuta dal poeta per le sue condizioni. È l’anima del fiorentino Ciacco chiamato così dai suoi stessi concittadini a causa dei suoi peccati di gola. Il sommo poeta parla di questo peccato perché nel Medioevo è considerato uno dei più gravi e si tende ad insegnare e a controllare i desideri futili e l’eccessivo consumo di alimenti. La fame di ciò che è superfluo, afferma Dante, è sbagliata e pericolosa per l’uomo. Nel 1330, infatti, una delle leggi che ha il compito di reprimere il lusso limita a venti il numero di piatti per ogni portata, in occasione di feste solenni come matrimoni. Il mondo contemporaneo sottovaluta l’eccessivo consumo di cibo che genera malessere all’organismo che ne fa abuso e crea squilibri nelle varie parti del mondo. Nonostante i molteplici convegni e seminari che ogni anno si organizzano per risolvere il problema, ogni Stato affronta il tema dell’alimentazione in modo diverso. In America il consumo di cibo è eccessivo e causa di malattie come la bulimia, presente maggiormente negli adolescenti, incapaci di controllare la loro voglia di mangiare pur essendo sazi; quindi cibarsi solo per il desiderio e non per necessità. Anche in Italia, per esempio, abbiamo problemi legati all’alimentazione così come in moltissime parti del mondo. Le sostanze tossiche che l’uomo rilascia nell’ambiente infettano i luoghi naturali scelti per le coltivazioni e su cui si alleva il bestiame. In Africa invece, a differenza degli altri Paesi, il cibo manca. Questo continente oltretutto é soggetto a sovrappopolamento e viene sfruttato dai Paesi ricchi che non solo non si occupano della popolazione che muore di fame, ma sfrutta anche le loro materie prime e la loro forza lavoro. Se Dante lo considera uno dei sette peccati capitali, uno dei più gravi del tempo, affrontato e analizzato ai giorni nostri è qualcosa di ancor più complesso. Egli disprezza e condanna questi peccatori a saziarsi della pioggia sporca e del fango per l’eternità. Pioggia che oggi scarseggia, provocando siccità, oppure abbonda Il cibo e Dante dal 1330 all’Agenda 2030generando inondazioni. Non siamo riusciti a migliorare il mondo in cui viviamo, aumentando la povertà in alcuni Paesi e arricchendone altri, poiché non riusciamo ad essere più generosi e condividere il nostro bene più prezioso. Dante vede questo come un peccato che induce a distruggere la propria dignità, che porta ad essere egoisti, interessati solo a ingozzarsi, anteponendo il cibo di fronte ai principi importanti della vita e del rispetto per gli altri. Altri tempi forse, ma una gran esaltazione del cibo c’è anche al giorno d’oggi, cosa che si nota particolarmente in televisione dove si trasmettono a raffica programmi di cucina, gare di torte, inviti a cena, ristoranti a confronto, e molto altro. La gente si diverte a guardare le puntate mirate al mangiare, si segna le ricette, le ripropone. Il cibo é diventato quasi una ragione di vita, chi per l’ossessione di cucinare, chi per l’ossessione di mangiare. Ai tempi di Dante nutrirsi era un obiettivo, non tutti ne avevano a sufficienza. Oggi si parla di spreco, di malattie legate ad un rapporto patologico col cibo. Non siamo poi così lontani dai poveri peccatori della gola del Medioevo! Ai tempi di Dante c’erano più punti di riferimento, forse meno tentazioni, meno individualismo ma decisamente più attenzione alle priorità. La nostra società galleggi in un mare senza meta, abbiamo tutto e non proviamo più il piacere di desiderare perché non sappiamo neanche cosa vogliamo veramente. L’agenda 2030 si impone di eliminare la fame e assicurare a tutte le persone, in particolare i poveri e le persone in situazioni vulnerabili, tra cui i bambini, l’accesso a un’alimentazione sicura, nutriente e sufficiente. Entro il 2030, eliminare tutte le forme di malnutrizione, incluso il raggiungimento, degli obiettivi concordati sull’arresto della crescita e il deperimento dei bambini sotto i 5 anni di età, e soddisfare le esigenze nutrizionali di ragazze adolescenti, in gravidanza e in allattamento. Entro il 2030, raddoppiare la produttività agricola e il reddito dei produttori di alimenti su piccola scala, in particolare le donne, le popolazioni indigene, le famiglie di agricoltori, pastori e pescatori, anche attraverso l’accesso sicuro e giusto alla terra. È giunto il momento di riconsiderare come coltiviamo, condividiamo e consumiamo il cibo. Se gestite bene, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca possono offrire cibo nutriente per tutti e generare redditi adeguati, sostenendo uno sviluppo rurale centrato sulle persone e proteggendo l’ambiente allo stesso tempo. E’ necessario un cambiamento profondo nel sistema mondiale agricolo e alimentare se vogliamo nutrire 795 milioni di persone che oggi soffrono la fame e gli altri 2 miliardi di persone che abiteranno il nostro pianeta nel 2050. Dante avrebbe sicuramente scritto ancora sull’argomento e forse oggi, ad un anno esatto dalla pandemia, la profezia annunciata da Ciacco si completerebbe con questi umili versi: “E il mondo che s’accingeva a combatter la pandemia, per paura di restare senza cibo preparava le gole avide e non si curava della malattia; il contagio faceva pianger la gente che riempiva le dispense per il terribile presagio e non si curava di chi non era mai stato a suo agio”…
Matteo Caniglia, 3AES
La storia di Francesca o quelle che leggeremo più oltre nel poema, di Chiara, di Costanza, sembrano far parte di un mondo che non esiste più e che nessuno dovrebbe più accettare. Purtroppo non è così. Dalle cronache quasi quotidiane si apprendono innumerevoli episodi di violenze terribili che si verificano all’interno delle mura familiare e che hanno per vittime le donne. Esistono ancora dimensioni sociali dove la condizione femminile evoca lo status di subalternità e sopraffazione. Si parla ad esempio di clan criminali dove alle donne è affidato il compito di servire l’uomo, una sorta di schiavitù dove non esiste la libertà di amare. In molte nazioni nel mondo poi si riscontra il totale disconoscimento di ogni diritto individuale e sociale per le donne. Prova ad approfondire l’argomento e a raccogliere dati e statistiche in merito. Ti accorgerai che il cammino per un’autentica liberazione è ancora molto lungo ma argomenta con opinioni personali in merito.
Fin dall’antichità , la donna è sempre stata considerata come un oggetto debole , inutile , o addirittura, un peso sia per l’uomo e che per la società ma, la condizione femminile nel mondo ha compiuto passi da gigante verso una maggiore consapevolezza dei diritti della donna. Nonostante ciò , ci capita quotidianamente di apprendere episodi di violenze crudeli che si verificano all’interno delle mura familiari nei confronti di fragili vittime. Per non parlare dei tanti piccoli episodi nei quali le donne non possono uscire a fare quel che gli pare , perché il marito o il compagno glielo impedisce o ragazze che vengono rimproverate perché si vestono come vogliono e arrivano a convincersi che i maltrattamenti sono semplicemente parte della propria vita di coppia. Eppure , le donne hanno lottato duramente per secoli per poter ottenere dei diritti pari a quelli degli uomini , tante di loro hanno perso la vita ma , queste figure eroiche hanno dimostrato una forte personalità , diventando così protagoniste del loro tempo. Leggendo i libri della letteratura italiana , vediamo che è tempestata di episodi di donne uccise dai loro mariti o costrette al suicidio da circostanze divenute insostenibili , un esempio, lo possiamo estrapolarlo dalla Divina Commedia di Dante , in particolare , dal Canto V°, della prima cantica , nell’Inferno, nel quale emerge la storia di Francesca che muore per mano del marito Gianciotto Malatesta. La cosa che più mi rattrista è che tutto ciò sembra far parte di un mondo che non esiste più , cioè dovrebbero essere delle situazioni ormai lontane da noi ,ma purtroppo non è proprio così. Infatti , nel mondo ogni giorno ,un gran numero di donne subiscono minacce da parte di uomini, sono oggetto : di schiaffi , di calci , di pugni e altre volte ricevono molestie fisiche e sessuali contro la loro volontà. Oltre a questa forma di violenza fisica o sessuale ,molte donne che hanno un partner , subiscono anche una violenza psicologica ed economica , cioè sono tutti quei comportamenti di umiliazione , di svalorizzazione ,nonché di privazione o di limitazione nell’accesso alle le proprie disponibilità economiche o della famiglia. Ed è proprio per tutti questi motivi che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito per il 25 novembre la giornata contro la violenza sulle donne con la quale si intende focalizzare tutta l’attenzione dell’opinione pubblica su questo tema di grande attualità , che continua ad essere un grande problema individuale e collettivo. Molto spesso ,si verificano episodi di ricatti , di persecuzioni ,cioè ci sono degli atteggiamenti che non tengono conto della volontà della donna che ha il diritto di dire di sì o di dire no per qualsiasi proposta , come succede per qualunque essere umano dotato di dignità e di diritti , dunque il punto è che le donne subiscono principalmente dai mariti , dai fidanzati , dai partner e dagli ex partner. Secondo me , la cosa più importante è quella di trovare il coraggio di rivolgersi a un centro antiviolenza , perché da sole non possono uscirne ,infatti serve il sostegno e il conforto di specialisti che inducono a non seppellire le violenze sotto l’ombra del silenzio , perché sia un senso di pudore , di paura e di speranza che le cose possano migliorare in futuro. Tante donne si sottomettono , si sacrificano per il proprio uomo e così facendo ottengono solo un vuoto interiore che non sarà mai colmato con l’amore che meriterebbero. Quindi ancora oggi , anche se in modi e forme mutate , continua a resistere il retaggio culturale e sociale che per secoli non sono state riconosciute alla figura della donna le più elementari possibilità sociali , infatti se facciamo un salto nel passato vediamo che le era impedito di esprimere le opinioni politiche personali attraverso il voto e la donna era di fatto interdetta anche dalla frequenza delle scuole fino ai più alti gradi dell’istruzione , oltre che alla facoltà di accedere al mondo del lavoro, pertanto rimaneva loro il ruolo di moglie con grandi limiti delle prerogative femminili. Indubbiamente la vita delle donne è migliorata , infatti oggi può apparire scontato almeno nella parte più evoluta del mondo che i diritti siano condivisi , che la parità fra i sessi non possa essere messa in discussione ,che le donne abbiano le stesse possibilità degli uomini e che quindi le differenze debbano fondarsi unicamente sul talento e sulla capacità individuale di affermare le proprie qualità. Ma per quanto queste osservazioni possano apparire scontate non si deve tuttavia dimenticare che il progresso dell’umanità non è mai omogeneo e non segue ovunque gli stessi percorsi. Non mancano ,infatti tuttora aree geografiche e contesti culturali in cui le conquiste rappresentano ancora un traguardo difficile e lontano il cui conseguimento da parte delle donne richiederà molto tempo e tanta fatica. Ad esempio in paesi come l’India alla donna che si rifiuta di sposare l’uomo che stato scelto per lei spetta una punizione orribile infatti le viene rovesciato sul viso dell’acido che corrode la pelle e di conseguenza la famiglia la ripudia , perché considerata un peso avendo bisogno di cure. Oppure , in Cina le donne sono sempre state considerate inferiori rispetto all’uomo e costrette ad obbedire in silenzio .Insomma sono tutti i veri atti barbarici nei confronti delle donne. Pertanto sarà fondamentale dedicare uno spazio maggiore alla conoscenza di questo processo storico che ha visto come protagoniste le donne affinché possano dimostrare il valore del rispetto , come condizione indispensabile e qualificante per la convivenza civile e della stessa vita affettiva e relazionale. Inoltre, compiere questo passo contribuirà con forza alla conquista di un’emancipazione più matura e consolidata della donna.
Garzarelli Cristina, 3AES
Elaborati realizzati da alcuni studenti del Liceo Archita per la Società Dante Alighieri di Taranto
Disegno realizzato con la tecnica del Cross-Hapching dallo studente Simone Mazzarella, 3AS
CERBERO, “IL GRAN VERMO”
Nella Divina Commedia il Sommo Poeta Dante descrive in maniera allegorica l’ intera esistenza umana, intesa come un percorso di atroce sofferenza e profondo dolore, che porta infine alla salvezza.
Le atrocità della vita sono rappresentate nella Commedia dalle mostruosità dell’Inferno, dove diversi demoni infernali si presentano davanti agli occhi del pellegrino e della sua guida morale e spirituale, l’illustre poeta latino Virgilio. Una delle fiere che più incarna la terribile crudeltà del luogo, che rende il cammino di Dante doloroso e incerto, è Cerbero, una creatura mostruosa, posta da Dante a guardia del terzo cerchio dell’Inferno. Qui sono puniti i golosi, che in vita commisero peccati di incontinenza, abbandonandosi al vizio della gola, che smarrirono la dignità umana, lasciandosi andare agli istinti primordiali . Essi persero così il senso della misura e quindi anche la capacità di provare un piacere reale.
Nel VI Canto leggiamo che Cerbero squarta e divora senza pietà le anime dannate, stordendole con i suoi latrati. Viene descritto con termini che indicano aspetti umani, come le mani unghiate ( v.18), pronte ad afferrare violentemente qualunque cosa, il ventre obeso (v.18) e la barba unta e scura (v.16), che simboleggiano la sua avidità insaziabile; come tutti i demoni possiede occhi vermigli (v.16) .
Virgilio, consapevole delle possibili reazioni del “gran vermo” alla vista del cibo ( egli stesso aveva parlato dello stratagemma della Sibilla!), gli lancia nelle fauci delle manciate di terra e fango, che esso afferra con avidità, come fanno i cani affamati al lancio di un boccone, facendoli passare.
Cerbero personifica la cattiveria sfrontata a cui a volte dobbiamo sottoporci per poter vivere.
Nell’intera cantica abbiamo la descrizione della completa sfera emotiva umana, come ad esempio lo strazio delle anime dei dannati ingordi, che, disperatamente speranzosi, cercano di sottrarsi, ma invano, a questa orrenda tortura, nascondendosi l’ uno dietro l’ altro; giacciono infine sul suolo melmoso, violate e inermi, stordite dai terribili latrati del mostro, fiaccate da pesanti chicchi di grandine misti a neve e acqua sudicia.
Il mostruoso personaggio infernale ha origini particolarmente antiche: era una creatura della mitologia greca e, secondo la tradizione classica, era il sorvegliante dell’ingresso degli Inferi, in cui regnava il dio Ade. Solo due personaggi mitologici riuscirono a domarlo: Eracle e Orfeo. Orfeo, secondo la mitologia tradizionale si recò nell’Ade per poter riportare in vita l’amata defunta Euridice e incantò l’ orribile creatura con il suono della sua lira. Ercole, come dodicesima fatica da superare, dovette catturare a mani nude e senza l’ utilizzo di armi Cerbero, per portarlo ad Euristeo, re di Micene e Tirinto; il mostro in seguito venne riportato nell’ Ade. Cerbero è un personaggio presente anche in altre opere, come ad esempio nell’Eneide, poema epico latino scritto da Virgilio. Il protagonista Enea scenderà negli Inferi per poter rivedere il padre Anchise, il mostro infernale verrà ammansito da Sibilla, che getterà tra le fauci del mostro un’ offa (focaccia a base di farro) e una zuppa di erbe narcotiche.
Superare l’ostacolo costituito da Cerbero significa, dunque, dimostrare abilità, ingegno e forza, anche d’animo. Questo è necessario per proseguire il proprio cammino e questo fanno Virgilio e Dante, lasciandosi dietro l’eco del latrato canino del mostro.
Maria Lucia De Palma, 3AS
DA MORO A DANTE: IL VOLTO DI DIO IN TUTTI GLI ESSERI UMANI
Parla il prof. Francesco Urso, dirigente scolastico del liceo Archita di Taranto: «Ci prepariamo all’evento con un certo fervore e con la devozione costante»
Speciale “Dantedì” per i 700 anni del Sommo Poeta su Antenna Sud
Lo Speciale “Dantedì” per i 700 anni del Sommo Poeta su Antenna Sud (canali 13, 85 e 90) a cura di Piernagelo Putzolu, con la collaborazione di Leo Spalluto e Davide Cucinelli. Uno speciale che ha registrato gli interventi dei Professori del Liceo Archita, Valerio Pindozzi e Antonio Serra. Nel video è contenuto anche il docufilm “Beatrice” del giornalista Ottavio Cristofaro.
“La potenza di Dante”
video realizzato dagli allievi Angela Famà (5ªCC) e Matteo Torre (4ªAC), con la supervisione della Prof.ssa Stefania Danese e del Prof. Antonio Serra.