Il titolo della rappresentazione di quest’anno trae ispirazione dalla raccolta di racconti “Cari mostri” di Stefano Benni da cui sono tratti ben quattro degli otto quadri narrativi proposti in forma drammatica. Dei restanti episodi, due appartengono alla raccolta “Le Beatrici”, uno a “L’ultima lacrima”, uno a “La grammatica di Dio”. I racconti selezionati all’interno della vasta produzione di Benni hanno come denominatore comune la condizione dell’adolescenza.
Essi sono stati modificati nella scrittura, talora integrati, altrove snelliti, per renderli adatti ad una fruizione teatrale. Ma lo spirito drammaturgico dell’autore, che benevolmente ha concesso la manipolazione dei testi, è stato pienamente rispettato. Le storie che si dispiegano sulla scena sono estreme, segnate dall’eccesso; apparentemente slegate tra loro, esse sono tessere di un puzzle il cui disegno è chiaro e ci mostra una visione disincantata della realtà giovanile. Una lettura che inquieta, provocatoria. Legano le vicende di questi ragazzi fili sottili, che ho cercato di rendere facendo ricorso a elementi simbolici, richiami che unificano l’ordito della trama. La televisione, macchina mostruosa di alienazione, il libro, potente antidoto contro di essa, la nebbia, il gabbiano, il volo: sono i segni portanti, che si rincorrono e creano legami, rivelatori del significato di una sola storia. Storia di una gioventù disorientata da falsi miti come il successo e la bellezza fisica o, in assenza di ideali profondi, pronta ad aderire anima e corpo ai valori fatui e transitori del momento. Soprattutto è un’adolescenza afflitta dalla solitudine e dall’impossibilità di comunicare quella che emerge dalla rappresentazione, una generazione “sanza consiglio e sanza guida”. Eppure, da un certo punto in poi, nell’asfissia di un mondo grigio e senza stelle, si fa largo, pur se con fatica, uno squarcio di luce. Un viaggio dunque, quello che vi proponiamo, dalla terra al cielo, da un inferno disperante alla speranza del volo. Ciascuno dei quadri proposti porta il nome dei protagonisti, ad eccezione di uno, l’episodio del mercante d’armi; unico adulto in questa processione di adolescenti, unico ad essere identificato con la professione di morte che esercita, egli rappresenta il tragico punto di arrivo di una giovinezza tradita, incapace com’è stato di raccogliere, quando era in tempo, la sfida del volo. Tutti gli altri protagonisti hanno invece un nome e se hai un nome sei una persona, puoi rivendicare la tua identità, puoi prendere in mano la tua vita e decidere di scrivere una nuova storia. Qualche parola ancora sulla scenografia. Pochi oggetti essenziali, stilizzati, ridotti a icona del decadimento morale: un cassonetto da cui tirar fuori a scena aperta, per non dimenticare che siamo in teatro, i relitti di una società in disfacimento. Ma anche da un bidone dell’immondizia possono spuntare un paio d’ali! Sulle macerie si può ricostruire e tra i rottami si può ricordare di avere un nome. E finchè abbiamo un nome…ci possiamo salvare.
prof.ssa Stella ROSTRO